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Gaza, la strage degli innocenti

Bambini uccisi a Gaza

Bambini uccisi a Gaza

La tregua è servita a pianificare la vendetta reciproca. Non per costruire la pace. Hamas per rafforzarsi sul terreno della disperazione, Israele per individuare gli obiettivi nemici da annientare con le bombe. Le cronache di guerra che arrivano da Gaza rendono la verità evidente. E ancor più dolorosa.

In mezzo c’è la gente e i bambini, impazzati nel doloroso orrore della guerra: 500 morti in pochi giorni.

Manca un quarto soggetto: la diplomazia, assente quanto colpevole. Inutile, quanto costosa ed indifendibile con i suoi termini vuoti e inconcludente. Da mesi Hamas ed Israele preparavano lo scontro ma nessuno è intervenuto per scongiurare la catastrofe. E nessuno interviene ora per fermare la carneficina di civili palestinesi. Davide contro Golia. A parti inverse.

Da una parte i “terroristi” di Hamas, ma che a Gaza godono dell’appoggio della gente, stanca di decenni di potere corrotto dell’Anp; dall’altra la superpotenza israeliana, che in risposta ai razzi lanciati su Sderot risponde con i bombardamenti e l’invasione. Chi sono i più criminali: i miliziani di Hamas che si annidano tra i civili o coloro che colpiscono decine di bambini e civili inert pur di uccidere il menico? Non ho dubbi. Criminali sono entrambi.

Poveri bimbi di Gaza.

Il terrore di un bambino a Gaza

Il terrore di un bambino a Gaza

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Il principino Harry torna dalla guerra

Il principe Harry in azione sul campo Per il principe Harry la guerra in Afghanistan è finita: il ministero britannico della Difesa ne ha deciso il richiamo dopo che ieri è diventata improvvisamente di dominio pubblico la sua presenza tra le truppe di Sua Maestà impegnate a combattere i Taleban nella provincia di Helmand. La decisione – annunciata ufficialmente sulla scia di indiscrezioni del tabloid Sun – è stata presa nella convinzione che le rivelazioni dei mass-media hanno reso insostenibile la permanenza del secondogenito di Carlo e Diana nell’insidioso scacchiere afghano, dove si trova dal 14 dicembre: sarebbe troppo rischioso non soltanto per lui ma anche per i suoi commilitoni.

Ma allora la guerra è pericolosa, non solo per la truppa. Fatico a credere che il rampollo reale sia stato davvero in prima linea. Forse mi sbaglio o forse no. ∞

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La pace “annunciata” porta male

Bush vede sempre molto lontano…Da Annapolis, George W. Bush annuncia entro il 2008 la pace tra israeliani e palestinesi. E io mi sento male. Questo non ne ha azzeccata una in tema di pace… ∞

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Il Pakistan e l’algoritmo democratico degli Stati Uniti

Vertice tra Musharraf e Bush  Viene naturale chiedersi quale sia l’algoritmo strategico nonché politico che governa le decisioni degli uomini della Casa Bianca in politica estera. Da guardiani della democrazia del mondo e tutori degli interessi nazionali hanno deciso anche in nome e per conto nostro e, talvolta, dell’Onu, di bombardare paesi e dichiarare guerra a dittatori nemici della libertà. Così è successo per la Serbia di Slobodan Milosevic, l’Afghanistan dei Taliban, l’Iraq di Saddam Hussein e, ancora prima, alla Cuba di Fidel Castro e alla Panama di Manuel Noriega. Se teniamo buona questa ragione e giustifichiamo il ruolo militare degli Usa quale “gendarme della democrazia” nel mondo, non riusciamo a capire come lo stesso algoritmo (ammesso che esista nella mente di Bush e dei suoi strateghi) possa funzionare per il “presidente” pakistano Pervez Musharraf. Dopo aver riammesso in patria, mettendo fine ad un esilio di otto anni, Benazir Bhutto, l’uomo forte del regime militare di Karachi ha ordinato gli arresti domiciliari dell’ex premier, rea di averlo contestato, chiedendone le dimissioni e lanciando un appello alla comunità internazionale perché lo isoli. Il generale Musharraf ha proclamato il 3 novembre scorso lo stato d’emergenza, la sospensione della Costituzione e, prima, la destituzione del presidente Corte Suprema Iftikhar Muhammad Chaudrhry, uno dei suoi più fieri avversari e chiamato di lì a poche ore a pronunciarsi sulla legittimità della sua elezione. In difficoltà, Musharraf ha annunciato due giorni fa che le elezioni parlamentari si terranno il 9 gennaio, nonostante lo stato d’emergenza ancora in vigore. Oggi la Bhutto vive reclusa nella sua casa di Latore, circondata da 1100 soldati e poliziotti che impediscono ogni contatto verso l’esterno. La stessa Bhutto, che il 18 ottobre a Karachi ha subito un attentato appena ha messo piede in patria e costato la vita a 139 persone, lavora alla nascita di una grande coalizione di opposizione che raccolga tutti gli avversari dell’attuale regime. Due dei maggiori partiti d’opposizione pachistani, la Lega islamica pachistana (dell’ex premier Nawaz Sharif) e la più popolare organizzazione islamica Jamaat-e-Islami, hanno annunciato che probabilmente boicotteranno le elezioni se non sarà revocata la “mini legge marziale”. La Bhutto ha escluso negoziati con Musharraf, minacciando a sua volta di non partecipare alle elezioni. L’ex premier ha proposto un’alleanza con Sharif, ancora in esilio in Arabia saudita. E a Riad, riferiscono fonti pachistane, dovrebbe recarsi Musharraf su richiesta del sovrano saudita Abdadallah, che fra le altre cose vuole parlare dell’arresto dell’ “amico” Hamid Gul, l’ex capo dei servizi segreti pakistani Isi e architetto dell’avvento dei Taliban in Afghanistan negli anni Novanta, sovvenzionato proprio da denaro saudita. In Pakistan, nelle zone di confine verso l’Afghanistan, sotto il controllo delle tribù locali, si nascondono con tutta probabilità Bin Laden e lo stato maggiore di al Qaeda, in fuga dall’Afghanistan e tollerati (se non protetti) da una parte dei servizi segreti pakistani. Gli Stati Uniti hanno annunciato l’invio nel Paese asiatico del falco John Negroponte, numero due del dipartimento di Stato, incaricato di intensificare le pressioni su Musharraf affinché “revochi” le misure liberticide: il ripristino della democrazia nel paese non è all’ordine del giorno dell’agenda americana. E a questo punto non può che tornare ancora alla mente l’irrisolto algoritmo della democrazia a Stelle e Strisce, che condanna Saddam e sostiene Musharraf…

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Iraq, alla guerra con la guida turistica

La guerra in Iraq “Gli Usa hanno basato i piani per la ricostruzione del Iraq sulle informazioni di una vecchia guida turistica del Medio Oriente pubblicata dalla Lonely Planet”. Ad affermarlo è l’ex ambasciatore Usa Barbara Bodine, che faceva parte della task-force incaricata di pianificare il dopoguerra, nel corso dell’intervista rilasciata alla Bbc per la trasmissione “No plan, no peace”. Sempre dalla Lonely Planet, gli americani appresero dell’economia, della geografia e della cultura irachena. Insomma, un “non-piano” sulla ricostruzione fu elaborato anche grazie alle pillole informative pensate per turisti. I risultati della guerra per la democrazia in Iraq sono sotto gli occhi di tutti: instabilità del paese, 90 mila morti civili nel dopoguerra, migliaia di militari Usa e britannici caduti, e una spesa bellica di 500 miliardi di dollari. Quanti insulti merita questa ex ambasciatrice, incapace di tenere la bocca chiusa? Personalmente la manderei oggi stesso in Iraq ad aggiornare la guida Lonely Planet, così da farle scoprire che forse il paese era messo meglio prima dell’arrivo dei nuovi crociati per la democrazia. ∞

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Kurdistan, venti di guerra

Combattenti del Pkk La scintilla rischia di far scoppiare l’ennesimo conflitto nella regione mediorientale del Kurdistan. Il Pkk ha lanciato con un doppio attacco nella provincia orientale di Hakkari al confine con l’Iraq: in uno scontro ha ucciso 16 soldati turchi, mentre un’autobomba contro un corteo nuziale ha fatto una vittima e 10 feriti. Per tutta risposta Ankara, che da tempo ha ammassato truppe e mezzi al confine con l’Iraq, ha attaccato 60 postazione kurde del Pkk e alcuni villaggi uccidendo una trentina di persone. Contro l’offensiva del Pkk hanno preso posizione i due massimi leader curdi nordiracheni, il presidente iracheno, Jalal Talabani e Massud Barzani. Il primo ha invitato il Pkk a lasciare il Kurdistan iracheno, mentre il secondo si è detto neutrale nello scontro Turchia-Pkk. Anche il governo di Baghdad ha annunciato questa sera “importanti misure” contro la presenza del Pkk in Iraq, mentre l’ambasciatore americano ad Ankara Ross Wilson, ha rilanciato la necessità di “porre fine al terrorismo del Pkk con un’azione comune”. Gli Stati Uniti sono i maggiori alleati dei kurdi del Nor dell’Iraq ai quali ha concesso importanti aree strategiche, ricche di petrolio. Il Pkk, che ha scelto, probabilmente non a caso, il giorno del referendum sull’ elezione diretta del capo dello stato (nel quale il “si” si avvia a vincere con circa il 70% dei voti), ha sfidato la Turchia ad attuare il minacciato intervento militare in Iraq. Mercoledì scorso, il Parlamento di Ankara ha dato  “carta bianca” ai suoi militari con l’obiettivo dichiarato di distruggere i campi del Pkk in Nord Iraq. Il Pkk sta mirando – secondo gli analisti – al doppio obiettivo politico di attirare i turchi nel pantano iracheno, internazionalizzando la sua lotta separatista anti-turca e forzando i curdi nordiracheni a legarsi al Pkk per una resistenza armata comune contro “l’invasore turco”. Un obiettivo che, tuttavia, né i turchi, né i curdi nordiracheni sembrano disposti ad assecondare, soprattutto Ankara che sembra non voler cadere nella trappola di un’incursione in grande scale nel Nord Iraq ed affrontare uno scontro logorante in un territorio ostile. Nell’ultimo anno, il Pkk ha effettuato continui attacchi alle postazioni militari turche, causando l’uccisione di oltre 140 militari. Ancora una volta, quindi, la questione curda  torna di attualità: i curdi sono, con i palestinesi, l’unico popolo mediorientale a non vedersi riconosciuto uno stato sovrano, divisi tra Turchia, Iran e Iraq, e vittime di una repressione decennale. ∞

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Guerra in Iraq, no comment

Il generale Ricardo Sanchez Riporto testualmente l’Ansa: “WASHINGTON – Un “incubo senza fine” e un “catastrofico fallimento”. Così un ex comandante delle forze Usa in Iraq e alto responsabile del Pentagono, il generale di corpo d’armata Ricardo Sanchez, ha definito l’attuale strategia della Casa Bianca nella querra di 4 anni e mezzo di in Iraq. Una strategia – ha dichiarato ai giornalisti – che non porterà alla vittoria. Il generale Sanchez ha inoltre definito gli attuali leader politici americani “incompetenti”, “corrotti” e “negligenti nel compiere il loro dovere”, aggiungendo che sarebbero stati portati davanti a una corte marziale se avessero agito così da militari”. Fin qui l’agenzia. E questo mi basta.

Se vuoi saperne di più vai a: la Repubblica, il  Corriere della Sera, UsaToDay, Los Angeles Times

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Parole da Guerra Fredda

Rice e Putin si stringono la mano Ci risiamo. Gli Stati Uniti vogliono allargare ad Est lo Scudo Spaziale, ovvero portarlo a ridosso dei confini della Russia. E Vladimir Putin risponde picche, minacciando di uscire dal trattato sull’eliminazione dei missili a media e breve gittata (Inf). Questo, in sintesi, l’esito dei colloqui conclusi ieri a Mosca e battezzati “2+2”, perché composti dal ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, il collega titolare della Difesa, Anatoly Serdyukov, con il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, e il capo del Pentagono, Robert Gates. E qualcuno torna a parlare di Guerra Fredda. Io mi chiedo, se questa gente si rende conto di dove vive e della gravità dei problemi del mondo. Ancora armi? Ancora guerra? Ma non vi bastano l’Iraq e l’Afghanistan o la Cecenia? Ancora strategie belliche sulle teste delle persone? Sapete cos’è lo Scudo spaziale? Un sistema di difesa anti-missilistica americano che gli Stati Uniti voglio estendere all’intera Europa. Da europeo dico a Bush (e a Putin) che le loro armi se le possono tenere. E penso di parlare a nome di milioni di persone. All’imbecillità umana, rispondo con l’ironia partenopea di uno statista più grande dei “2+2”, il principe Antonio de Curtis, in arte Totò: “Ma fatemi il piacere!”.

P.s. “2+2” non vi sembra il nome di un complessino da feste di paese? Appunto…

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Missione di pace, cimitero militare “full”

cimitero-militare.jpeg Dopo aver dato sepoltura al sergente Joel Murray, 26 anni, deceduto in combattimento in Iraq (Zona Est di Bagdag) il 4 settembre scorso, il cimitero militare di Fort Riley, in Kansas, non ha più spazio. “We are full,” ha confermato Alison Kohler, spokeswoman for the Fort Riley U.S. Army. Due senatori repubblicani, Sam Brownback e Pat Roberts, hanno chiesto al Dipartimento per gli Affari dei veterani di finanziare un nuovo cimitero mentre da Fort Riley hanno suggerito che, nel frattempo, “se le famiglie sono d’accordo, i prossimi soldati possono condividere la tomba di con altri militari già seppelliti”. Dal 2003 la divisione di fanteria di Fort Riley ha perso 133 soldati. Dopo migliaia di soldati morti, centinaia di migliaia tra i civili, possiamo ancora considerare “missioni di pace” quelle aperte in Iraq ed Afghanistan?

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