Il negoziato di New York sul Kosovo è fallito: serbi ed albanesi non hanno trovato un accordo sul futuro (indipendente) del regione balcanica. A nulla sono valsi i tentativi della troika Stati Uniti – Unione Europea – Russia di trovare una mediazione tra l’avversione di Belgrado a riconoscere la sovranità dell’ex regione della grande Jugoslavia e la determinatezza con cui Pristina vuole arrivare ad una dichiarazione di indipendenza unilaterale.
In pochi hanno creduto veramente che il vertice di New York avrebbe portato ad una soluzione della crisi: gli stessi attori non sono stati capaci dal 1999 ad oggi di costruire un futuro del Kosovo, spedendo migliaia di militari della KFor per impedire ulteriori massacri tra serbi ed albanesi, e spendendo miliardi di euro per alimentare artificialmente quello che di fatto è da tempo, ovvero uno stato senza economia e guida politica.
New York si è quindi celebrato il fallimento della diplomazia internazionale, incapace di arrivare a quella che appare essere l’unica (e più difficile) soluzione: riconoscere al Kosovo l’indipendenza, esigere il rispetto da parte albanese dei diritti della minoranza serba, contrastare corruzione e criminalità, ed avviare un serio programma di integrazione etnica. Nulla di tutto questo è stato fatto dalla troika in questi anni che si è limitata invece a gestire l’ordinario.
Ed ora? Il Kosovo dichiarerà unilateralmente la propria indipendenza. Questo ha promesso e questo vuole il nuovo uomo forte di Pristina, Hashim Thaci, leader del Partito democratico (Pdk) ed ex comandante militare della guerriglia separatista albanese (Uck), che nelle scorse settimane ha vinto le elezioni politiche. L’indipendenza del Kosovo è sostenuta più o meno esplicitamente da gran parte dell’Occidente ed è avversata da Mosca, alleato storico di Belgrado, che nella seconda metà degli anni ’90 mise a ferro e fuoco il Kosovo, pur di sottometterlo. La Russia, in realtà, è anche preoccupata del progressivo avvicinamento di Belgrado agli Stati Uniti che hanno individuato proprio nella Serbia il partner economico dell’area. A sua volta, la nuova Serbia, quella succeduta a Slobodan Milošević, sta guardando più od Ovest (Europa e Stati Uniti) che a Sud (Kosovo) o Est (Russia), decisa superare la crisi economica determinata da una campagna militare durata quasi 10 anni. La tentazione di Belgrado di liberarsi del fardello Kosovo è forte, ma ad impedirlo c’è l’opinione pubblica molto nazionalista e la posizione della chiesa ortodossa (i kosovari sono mussulmani…) alle quali si rivolgono i “fratelli” delle enclave serbo-kosovare che temono di essere abbandonati al proprio destino. E proprio pochi giorni fa, i rappresentanti della minoranza serba in Kosovo hanno consegnato al primo ministro di Belgrado, Vojislav Kustunica, una petizione firmata da 75 mila persone, in cui si ribadisce l’intenzione di non riconoscere un’eventuale dichiarazione di indipendenza unilaterale da parte di Pristina.
La situazione rischia quindi di degenerare a breve in nuovi scontri e violenze. I ministri degli esteri di Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania – i paesi con la maggior presenza militare in Kosovo – hanno scritto ai loro colleghi europei per dire che, esaurito lo spazio negoziale, per l’Ue è arrivato il momento di assumere un orientamento chiaro sui suoi impegni.
Un orientamento che dovrebbe sfociare quanto prima – come ha sottolineato il ministro degli esteri Massimo D’Alema – al via libera ad una missione civile dell’Unione Europea destinata ad assumere il controllo dell’amministrazione del Kosovo. In tal modo, congiuntamente alla presenza sul territorio di circa 17.000 uomini della forza Kfor della Nato, si potrebbe assicurare quel presidio del territorio necessario a impedire il riesplodere della violenza. E a congelare nuovamente politicamente e militarmente il paese. Il tutto a beneficio di estremisti, puttanieri, trafficanti di droga e armi, politici corrotti e faccendieri. ∞