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Gaza, la strage degli innocenti

Bambini uccisi a Gaza

Bambini uccisi a Gaza

La tregua è servita a pianificare la vendetta reciproca. Non per costruire la pace. Hamas per rafforzarsi sul terreno della disperazione, Israele per individuare gli obiettivi nemici da annientare con le bombe. Le cronache di guerra che arrivano da Gaza rendono la verità evidente. E ancor più dolorosa.

In mezzo c’è la gente e i bambini, impazzati nel doloroso orrore della guerra: 500 morti in pochi giorni.

Manca un quarto soggetto: la diplomazia, assente quanto colpevole. Inutile, quanto costosa ed indifendibile con i suoi termini vuoti e inconcludente. Da mesi Hamas ed Israele preparavano lo scontro ma nessuno è intervenuto per scongiurare la catastrofe. E nessuno interviene ora per fermare la carneficina di civili palestinesi. Davide contro Golia. A parti inverse.

Da una parte i “terroristi” di Hamas, ma che a Gaza godono dell’appoggio della gente, stanca di decenni di potere corrotto dell’Anp; dall’altra la superpotenza israeliana, che in risposta ai razzi lanciati su Sderot risponde con i bombardamenti e l’invasione. Chi sono i più criminali: i miliziani di Hamas che si annidano tra i civili o coloro che colpiscono decine di bambini e civili inert pur di uccidere il menico? Non ho dubbi. Criminali sono entrambi.

Poveri bimbi di Gaza.

Il terrore di un bambino a Gaza

Il terrore di un bambino a Gaza

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Birmania, la devastazione del cicolone Nargis

E’ di oltre 27 mila morti e 30 mila dispersi il bilancio del ciclone Nargis che nei giorni scorsi ha devastato la Birmania, Myanmar. Si tratta di un bilancio ancora provvisorio, perché le autorità stanno ancora valutando i danni nei villaggi remoti dell’area del delta del fiume Irrawaddy, particolarmente colpita dal ciclone Nargis, includendo Rangoon, la più grande città del Paese del sud-est asiatico. Il bilancio potrebbe aggravarsi anche perché ci sono almeno 30.000 dispersi, secondo quanto ha detto il ministro degli esteri thailandese Noppadol Pattama, riferendo quanto comunicatogli dall’ambasciatore birmano a Bangkok. La giunta ha revocato oggi lo stato di calamità naturale in tre Stati colpiti dal ciclone, mantenendolo invece in sette insediamenti urbani nella regione di Irrawaddy a sud ovest di Rangoon (la ex capitale ribattezzata Yangon dai militari) e 40 insediamenti urbani della regione di Rangoon. Preoccupa inoltre l’imminenza della stagione delle piogge.

Secondo fonti umanitarie, la catastrofe potrebbe rivelarsi un cataclisma più grave dello tsunami che il 26 dicembre 2004 provocò 230.000 morti e oltre 40.000 dispersi in vari Paesi dell’Asia meridionale affacciati all’Oceano Indiano. Nella sola città sud occidentale di Bogalay ci sono stati 10.000 morti e il 95% delle abitazioni sono state distrutte.

La giunta militare, responsabile di una sanguinosa repressione di manifestazioni per la democrazia l’anno scorso, e che mantiene il Paese – uno dei più poveri del mondo – in uno stato di rigido isolamento, ha acconsentito a ricevere aiuti stranieri. Le squadre di soccorso dovranno però negoziare con il governo birmano per accordarsi sul loro ingresso nel Paese, ha detto oggi il ministro della protezione sociale Maung Maung Swe in una conferenza stampa. ∞

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Il Tibet non è un problema interno

Hu Jintao, il primo ministro cinese, ribadisce che “il Tibet è un problema interno” e che i disordini sono stati organizzati dalla “cricca” del Dalai Lama. Si sbagli, il Tibet è un problema di diritti umani e civili, una questione politica e quindi riguarda tutti. La posizione cinese mi fa orrore. Mi auguro che la comunità internazionale continui a fare pressioni sul governo cinese, soprattutto in vista delle Olimpiadi 2008, su cui grava l’ipotesi di un boicottaggio della cerimonia di apertura. ∞

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Pechino 2008, la fiaccola si spegne a Parigi

Dopo le manifestazioni e gli scontri di ieri a Londra, la fiaccola olimpica è sbarcata ieri a Parigi: la protesta di attivisti per il Tibet e di Reporter senza frontiera hanno più volte bloccato il percorso, costretto gli organizzatori a stravolgere il programma e a fermare la sfilata prima del termine. Una necessità, oltre che una scelta, considerato che il sindaco Bernard Delanoe ha deciso di cancellare ogni cerimonia in onore della fiaccola cinese.

Le bandiere con i cinque cerchi olimpici trasformati in manette, simbolo della protesta attivata da Reporter senza frontiere, ha accompagnato con clamorose apparizioni il passaggio della torcia, sventolando sulla Torre Eiffel, sugli Champs Elysée, sul municipio di Parigi.

Il flop di una marcia trionfale ipotizzata (uno spot pro China lunga oltre 100 mila chilometri, tanto durerà la corsa ad ostacoli della fiaccola) è evidente nei numeri: ciascun tedoforo di turno era protetto a Parigi da un cordone ambulante lungo 200 metri e composto da 65 poliziotti in moto, 100 sui roller e altrettanti vigili del fuoco corridori.

Dopo Parigi, la fiaccola lascerà l’Europa per gli Stati Uniti: San Francisco, mercoledì, e Buenos Aires, venerdì. Nella città californiana, dove vive la terza comunità cinese del Nordamerica, le proteste sono già iniziate: oggi tre attivisti hanno scalato il Golden Gate (le immagini) e hanno appeso ai cavi di sostegno una bandiera del Tibet e due striscioni con su scritto: “One World, One Dream, Free Tibet” (un mondo, un sogno, Tibet libero).

La Cina ha condannato oggi le “vili azioni” dei manifestanti filotibetani di Londra. Da Repubblica.it: Per la prima volta il tg della notte della tv cinese ha brevemente accennato agli incidenti che hanno disturbato il passaggio della fiaccola olimpica, ieri a Londra e oggi a Parigi, nell’edizione delle 22 locali (le 16 italiane) del notiziario della principale rete della tv centrale, Cctv1. In precedenza, l’emittente ha mostrato immagini del passaggio della fiamma a Parigi, con una forte presenza di poliziotti e con l’inviato della Cctv che si rallegrava per “la calorosa accoglienza degli abitanti di Parigi, dei cinesi d’oltremare e degli studenti cinesi”.

Povera democrazia, povera informazione, povera China. ∞

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Rivolta in Tibet, una foto compromettente…

Scoop o falso buono per la contropropaganda? Ho ricevuto la foto da una newsletter di amici a cui sono iscritto, ma non sono riuscito a verificarne la fonte. Ve la propongo così come mi è stata recapitata. Questo il testo in francese della email:

“Une photo compromettante.
dimanche 30 mars 2008 par Jean-Paul Ribes.
Un commencement de preuve de l’implication de provocateurs chinois lors des émeutes de Lhassa le 14 mars dernier. Sur cette photo, prise par des observateurs britanniques, on voit nettement des militaires chinois recevoir de leurs officiers des  tenues de moines. Nous avions déjà formulé l”hypothèse de la participation de faux moines dans le déclenchement des actes de violence à Lhassa. Plusieurs témoignages nous étaient parvenus dans ce sens. Cette fois, les faits semblent avérés. Ils condamnent à la fois l” attitude des autorités chinoises et la propagande mensongère et haineuse qui a été développée et qui l’est toujours par ces mêmes autorités.Faites largement circuler ces documents. Source de la photo : agence gouvernementale des communications britanniques, reprise sur Phayul”.

Se vera, la foto dimostrerebbe come a Lhasa, capitale del Tibet una parte dei disordini dello scorso marzo non siano stati provocati dai monaci tibetani bensì da agenti provocatori dell’esercito cinese.

Giudicate voi. ∞

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Pechino 2008, spegnete quella torcia

Nessun politico, nessun rappresentante ufficiale e, forse, nessun sportivo, dovrebbe partecipare alle prossime Olimpiadi di Pechino 2008.

Il Tibet è uno stato sovrano, invaso nel 1949/1950 dalla Cina che da allora ha praticato una sistematica pulizia etnica, favorendo scientemente l’insediamento di centinaia di migliaia di cinesi così da rendere di fatto impossibile una successiva separazione di questo territorio. La Cina ha praticato in questi decenni una sistematica repressione politica, cultura e militare contro una popolazione pacifica: un atto di fatto tollerato dalla comunità internazionale a causa della chiusura di quei territori (ieri) e degli interessi economici (oggi).

Assegnare le Olimpiadi ad un paese che non rispetta i diritti umani è stato un errore, dettato da meri interessi politici ed economici.

Non stupisce che la protesta contro la repressione cinese in Tibet accadano in occasioni importanti, qual è stata ieri a Londra, la tappa del viaggio della fiaccola olimpica. Scontri tra polizia e un piccolo gruppo di manifestanti sono scoppiati fuori dallo stadio di Wembley, da dove la torcia ha iniziato il suo giro per la capitale britannica, imbiancata da una nevicata fuori stagione. Un dimostrante ha cercato di impadronirsi della torcia e di spegnerla con un estintore durante il suo passaggio per le strade a bordo di un tipico bus londinese a due piani. Altri tafferugli nella zona di Trafalgar Square. Almeno 30 persone sono state arrestate. Malgrado l’imponente dispositivo di sicurezza, centinaia di militanti pro-Tibet con cartelli e bandiere hanno atteso il passaggio della fiaccola lungo il percorso. L’ambasciatore cinese, la signora Fu Ying, che doveva portarla per un breve tratto accanto al British Museum, ha fatto da tedoforo a Chinatown, dove c’erano minori rischi di incontrare contestatori.

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Bono e la maglia nera dell’Italia negli aiuti all’Africa

Italia maglia nera negli aiuti internazionali Bono, leader U2L‘Italia e la Francia non hanno mantenuto nessuna delle loro promesse sugli aiuti umanitari per l’Africa. Parola di Bono, leader degli U2 e tra le star più impegnate nella raccolta di fondi per i paesi poveri. Nell’intervista al quotidiano tedesco “Sueddeutsche Zeitung”, Bono promuove la cancelliera Angela Merkel che ha tenuto fede agli impegni presi nel corso dell’ultimo vertice del G8 ad Heiligendamm.“La Germania non ha imbrogliato – spiega il leader degli U2 – e lo si può constatare nella sua legge Finanziaria. Ad avere imbrogliato sono stati gli altri, la Francia e l’Italia. Durante un mio incontro con i capi di governo ad Heiligendamm uno di loro si è addormentato mentre stavo parlando”. Forse Prodi che ha la pessima abitudine di chiudere gli occhi mentre ascolta l’interlocutore? E’ probabile.Pennichelle a parte rimane serio il problema dell’Italia negli aiuti internazionali: il nostro Stato non ha di fatto promosso in questi anni alcuna buona pratica per promuovere una cultura vicina alla solidarietà internazionale con criteri e obiettivi moderni. Di fatto il vero motore di progetti umanitari è il volontariato e non lo Stato. E’ una realtà triste, non serviva Bono a ricordarcelo perché la cosa è nota ma il suo richiamo è utile a promuovere un inversione di rotta. Difficile da realizzare. ∞

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Il Nepal volta pagina e abolisce la monarchia

La bandiera del Nepal Il Nepal abolisce la monarchia che ha retto il paese per quasi 250 anni. Il parlamento provvisorio di Katmandu – nato dall’accordo di pace del 2006 tra i principali partiti del paese asiatico con i ribelli maoisti – ha votato oggi l’abolizione del sistema monarchico, sottraendo così il trono a re Gyanendra: a favore hanno votato 270 dei 329 parlamentari, 3 soli i contrari. Astenuti gli altri. Il Nepal ha scelto così di diventare una repubblica democratica federale. La destituzione del re avverrà formalmente dopo le elezioni di aprile che andranno a formare l’assemblea costituente della neorepubblica asiatica.Re Gyanendra è l’ultimo monarca di una dinastia salita al potere nel 1769, quando un leader tribale lanciò il suo esercito alla conquista di Katmandu. Da allora, i monarchi sono stati considerati la reincarnazione del dio induista Vishnu.In realtà, nessuno in Nepal considera davvero Gyanendra la reincarnazione divina, bensì l’erede dispotico e corrotto di monarchia destinata a concludere un ciclo. In molti – e non solo i simpatizzanti del movimento maoista – auspicavano la sua cacciata. Un sentimento che i maoisti hanno saputo interpretare alla perfezione per togliere di mezzo l’ultimo ostacolo formale – la monarchia, appunto – che li separa dal controllo politico del paese: sono loro i favoriti per le elezioni di aprile.Tornando a re Gyanendra e alla sua popolarità, è necessario ricordare che sul monarca pesa il sospetto, forse qualcosa di più, della strage che nel 2001 ucciso l’allora re Birendra e la sua famiglia. Un massacro che le autorità nepalese ascrissero allo stesso re Birendra: fu lui – secondo la ricostruzione ufficiale a cui nessuno crede – ad uccidere la sua famiglia e a suicidarsi. Con un colpo di fucile alla schiena. Sì, perché re Birendra morì per una fucilata sparata alle spalle… E in re Birendra, il popolo vedeva il monarca illuminato in grado di traghettare il paese (uno dei più poveri ed arretrato dell’Asia e del mondo) verso la modernità. Una volta salito al trono, Gyanendra si costruì una fama di repressore e di avido.Durante i miei viaggi in Nepal ho visto personalmente il corteo reale scortare il re al Casinò, dove Gyanendra era solito spendere le proprie serata e vere e proprio fortune ai tavoli da gioco. Nell’ultimo viaggio di due anni fa, trovai un paese in preda alla guerra civile – i maoisti erano ancora fuorilegge e combattevano nelle regioni più periferiche – e sotto il controllo di una polizia feroce contro gli oppositori.Con il voto di oggi, il Nepal ha deciso di voltare pagina. In aprile arriverà la nuova assemblea chiamata ad aprire un ciclo, rilanciando l’economia del paese e costruire l’architettura della Repubblica. Oltre a decretare l’esilio di un tiranno che ha già provveduto a trasferire all’estero il suo immenso patrimonio.  ∞

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Attentato Bhutto, con Benazir muore la democrazia in Pakistan

Benazir Bhutto Le grandi persone non fanno la democrazia di uno Stato, ma la aiutano a radicarsi e a crescere. Questa era Benazir Bhutto per il Pakistan: ritornata da un esilio di anni per riprendere la sua battaglia politica contro il regime di Musharraf, Benazir Bhutto è stato assassinata oggi a Rawalpindi durante un comizio. Le prime notizie ascrivono l’omicidio ad al-Qaeda, vista la modalità: i killer si sarebbero fatti saltare in aria dopo aver freddato la leader dell’opposizione pakistana. Poco importa, perché ad uccidere Bhutto è stata quella parte di Pakistan che non vuole la democrazia o un modello politico popolare. Al Qaeda pesca i propri proseliti nella disperazione di un Asia musulmana disperata, che vive le incongruenze e la violenza di un sistema globale senza equità e giustizia sociale. Inoltre al Qaeda e con essa l’estremismo islamico non poteva permettersi una leader politica donna e anche per questo Bhutto andava uccisa. Ma Al Qaeda e il movimento estremista islamico di Pakistan e della regione non opera in solitudine. Anzi. I servizi segreti pakistani hanno ottimi rapporti con al Qaeda che nelle regioni tribali pakistane (le zone di confine con l’Afganistan) opera indisturbata con i talebani. Anche a loro fa comodo il regime di Musharraf, fondato sul terrore e mancanza di diritti umani e politici.  L’omicidio di Bhutto è un regalo anche per loro che non hanno certo ostacolato l’azione degli attentatori.Quel che rimane dopo la morte di Bhutto è difficile dirlo ora. Certo, rimane Musharraf e il suo rapporto preferenziale con gli Stati Uniti a sentinella (presunta) contro l’espandersi dell’estremismo. Ma è un equilibrio destinato al breve periodo: Musharraf ha perso ogni credibilità interna e internazionale. Non ha portato a termine le riforme promesse, ha eseguito i diktat degli Stati Uniti, non ha portato il paese sul cammino della modernità, seppur su un modello asiatico. Insomma, Musharraf ha perso – a due settimane dal voto – l’avversario più temibile ma è rimasto drammaticamente solo. Contro tutti e con la tentazione di una svolta ancor più autoritaria.  E il Pakistan ha perso l’unica speranza a breve per la democrazia. ∞

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I fatti del 2007: non dimentichiamo la Birmania

I monaci birmani

Il sondaggio di Ipr Marketing per Repubblica conferma che per gli italiani il fatto più significativo del 2007 è stato la marcia dei monaci contro la giunta militare in Birmania. Al secondo posto c’è la strage nella acciaieria ThyssenKrupp di Torino.  La protesta a Rangoon è finita nel sangue, in Birmania la repressione continua e noi non dobbiamo dimenticare la gente di quel paese. Così come noi non dobbiamo dimenticare la piaga degli incidente sul lavoro. ∞

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A morte la pena di morte

Al bando i patiboli nel mondo A pelle non ispira simpatia e sulla coscienza (politica) ha qualche errore imperdonabile (Bicamerale), ma questa volta a Massimo D’Alema va riconosciuto il merito di un risultato storico. L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha detto sì alla proposta di moratoria sulla pena di morte: 104 Stati hanno votato a favore, 54 contro e 29 astenuti. Il prossimo passo è l’abolizione della pena capitale. Il risultato va diviso con Francia e Unione Europea che hanno fornito un primo e determinante contributo, a cui sono seguiti quelli di Messico e Brasile.

Tra i contrari – è bene ricordarlo – Cina  e Stati Uniti, dove le esecuzioni capitali fanno parte delle pene definitive inflitte ai detenuti. Negli Usa, salvo eccezioni per reati federali, sono i singoli stati, e non il Presidente né il Parlamento, a decidere delitti e castighi, in nome dell’autonomia locali. Ma qualcosa si sta muovendo nella Prima Democrazia (si fa per dire) del mondo: è di queste ore la notizia che il New Jersey ha abolito la pena di morte. Per il momento sono solo 13, su 50, gli Stati dove il boia è stato messo al bando.

Moratoria a parte rimane ancora lungo il cammino. Ad esempio, mancano dei report sulla gestione della giustizia nei paesi dove la pena di morte èancora legge e spesso è una legge legata a doppio filo alla politica o, peggio, alla religione. Manca ancora da parte delle Nazioni Unite la capacità e la volontà di incidere sugli Stati che non rispettano i diritti fondamentali  e dove la dignità dell’uomo non è ancora un valore fondante. Un uomo si può uccidere anche socialmente e moralmente. Ed è una morta forse peggiore perché ingiusta.

Intanto incassiamo il piccolo, ma importante, passo verso un mondo più civile. ∞

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Morire per il lavoro, nell’acciaieria dei ragazzi

Lo stabilimento di Torino

Il fatto.
Torino, giorno 6 dicembre 200, ore 1.30, Acciaierie Thyssenkrupp: un incendio scoppia nella linea 5 di trattamento termico dei prodotti di laminazione. L’olio bollente usato per temperare i laminati, traboca e gli operai che cercavano di spegnere le fiamme, vengono investiti dall’incendio.

Le vittime.
Antonio Schiavone, 36 anni, che abitava a Envie (Cuneo) con moglie e i tre figli di 4 e 6 anni, e di un maschietto nato appena due mesi fa. Era il più vicino alla linea 5 dove si è sviluppato l’incendio.
Roberto Scola, 33 anni, che era stato ricoverato all’ospedale Molinette, aveva ustioni di terzo grado sul 95% del corpo. Viveva a Torino, era sposato aveva due figli molto piccoli (uno di 17 mesi e l’altro di quasi tre anni). Quando è arrivato al pronto soccorso del Cto era cosciente e terrorizzato all’idea di non rivedere più i suoi bimbi.
Angelo Laurino, 43 anni, è stato stroncato da un’insufficienza multiorgano, a causa delle ustioni di terzo grado sul 95% del corpo. Anche lui abitante a Torino, aveva due figli, Fabrizio di 12 anni e Noemi di 14.
Bruno Santino, aveva 26 anni, ed era stato trasferito dall’ospedale Maria Vittoria al centro grandi ustionati del Cto. A pregare tutto il giorno perché si salvasse il fratello Luigi, pure lui operaio alla Thyssenkrupp (ma non era di turno mercoledì notte).

I feriti.
In ospedale restano tre operai in condizioni gravissime, hanno ustioni tra il 60 e il 90% del corpo.
Giuseppe De Masi (26 anni) sta ancora all’ospedale al Maria Vittoria di Torino, giudicato intrasportabile e lotta tra la vita e la morte. Vive a Torino con i genitori ed ha una madre infermiera.
Rosario Rodino (26 anni) trasferito al Centro grandi ustionati di Genova, dove viene tenuto in coma farmacologico.
Rocco Marzo (54 anni) sposato a padre di due figli. A fine mese sarebbe dovuto andare in pensione.

La fabbrica.

Le acciaierie della ThyssenKrupp di Torino chiuderanno nei prossimi mesi perché il gruppo ha deciso di concentrare la produzione nello stabilimento di Terni. Cinque anni fa aveva preso fuoco un treno di laminazione che aveva prodotto un incendio domato soltanto dopo tre giorni. Per tutti a Torino, la ThyssenKrupp era diventata la fabbrica “dei ragazzi”, il 95 per cento dei 180 dipendenti rimasti ha meno di trent’anni.

Le condizioni di lavoro.
Secondo le testimonianze degli operai, gli estintori erano semivuoti ma sigillati e quando si è tentato di usare gli idranti l’acqua non c’era. Altro aspetto da chiarire è l’operato della squadra antincendio e la sua formazione. Pare infatti che gli operai avessero la prassi di sbrigarsela da soli quando capitavano piccoli inconvenienti. Non è chiaro se la notte dell’incidente la squadra antincendio fosse presente al completo nello stabilimento o se ci fosse un solo componente che, come emergerebbe dalle prime indiscrezioni, era in un altro reparto. I turni di lavoro sono pesantissimi e quasi mai viene rispettata la tabella oraria.

L’indagine.
Il pm Raffaele Guariniello ha aperto due procedimenti penali paralleli come prevede la legge: “Uno riguarda le persone fisiche responsabili dei fatti, l’altro l’impresa”.

I sindacati.
Nei prossimi giorni Cgil, Cisl e Uil promuoveranno “importanti iniziative per la sicurezza, affinché questa strage finalmente si arresti”. Lo affermano i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti

Commento.
1. Non si può permettere che in Italia si continui a morire sul lavoro, perché le norme di sicurezza non vengono sistematicamente rispettate.
2. Nel caso di Torino siamo di fronte da una strage, avvenuta in un ambiente di lavoro dove le condizioni sono pessime e ancora peggio lo sono le misure di sicurezza. I responsabili della ThyssenKrupp devono pagare con risarcimenti alle famiglie e anni di carcere perché sono responsabili di omicidi. Ma questo non succederà perché siamo in Italia, dove in galera ci vanno gli sfigati. Da noi scontano molti più anni di carcere quelli che, con il temperino, rapinano per qualche centinaio di la cassa di un supermercato, rispetto ai criminali di professione che truffano migliaia di persone o fanno i milioni gestendo aziende con il lavoro nero e senza sicurezza.
3. Spero che il pm Guariniello porti a casa, almeno questa volta, la sentenza di condanna. Qui non stiamo parlando di calciatori viziati o sportivi drogati, ma di padri di 20-30 anni che non ameranno più le loro mogli e non vedranno crescere i loro figli. Di famiglie che vivranno in futuro in condizioni difficili.
4. Ai sindacati dico che dovrebbero smetterla con il loro mestiere da burocrati di professione e di incazzarsi veramente per questi problemi: come si può morire a 30 anni per una fabbrica di m… destinata a chiudere tra qualche tempo, dove la sicurezza è una pratica sconosciuta. E’ per queste ragioni che si devono di portare in piazza le persone e, se non si ottengono le risposte, rovesciare le città: ma in Italia questo succede solo per un tifoso (?) ammazzato. Ma avete letto, sindacalisti di professione, la vostra nota? “Promuoveremo importanti iniziative per la sicurezza, affinché questa strage finalmente si arresti”. Ma andate a lavorare e in ferriera, al posto di quei poveri ragazzi. ∞

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Kosovo, negoziati falliti

Cittadiini kosovari di etnia sebra nell’enclave di Gorazdevac, nei pressi di Peja-Pec Il negoziato di New York sul Kosovo è fallito: serbi ed albanesi non hanno trovato un accordo sul futuro (indipendente) del regione balcanica. A nulla sono valsi i tentativi della troika Stati Uniti – Unione Europea – Russia di trovare una mediazione tra l’avversione di Belgrado a riconoscere la sovranità dell’ex regione della grande Jugoslavia e la determinatezza con cui Pristina vuole arrivare ad una dichiarazione di indipendenza unilaterale.

In pochi hanno creduto veramente che il vertice di New York avrebbe portato ad una soluzione della crisi: gli stessi attori non sono stati capaci dal 1999 ad oggi di costruire un futuro del Kosovo, spedendo migliaia di militari della KFor per impedire ulteriori massacri tra serbi ed albanesi, e spendendo miliardi di euro per alimentare artificialmente quello che di fatto è da tempo, ovvero uno stato senza economia e guida politica.

New York si è quindi celebrato il fallimento della diplomazia internazionale, incapace di arrivare a quella che appare essere l’unica (e più difficile) soluzione: riconoscere al Kosovo l’indipendenza, esigere il rispetto da parte albanese dei diritti della minoranza serba, contrastare corruzione e criminalità, ed avviare un serio programma di integrazione etnica. Nulla di tutto questo è stato fatto dalla troika in questi anni che si è limitata invece a gestire l’ordinario.

Ed ora?  Il Kosovo dichiarerà unilateralmente la propria indipendenza. Questo ha promesso e questo vuole il nuovo uomo forte di Pristina, Hashim Thaci, leader del Partito democratico (Pdk) ed ex comandante militare della guerriglia separatista albanese (Uck), che nelle scorse settimane ha vinto le elezioni politiche. L’indipendenza del Kosovo è sostenuta più o meno esplicitamente da gran parte dell’Occidente ed è avversata da Mosca, alleato storico di Belgrado, che nella seconda metà degli anni ’90 mise a ferro e fuoco il Kosovo, pur di sottometterlo. La Russia, in realtà, è anche preoccupata del progressivo avvicinamento di Belgrado agli Stati Uniti che hanno individuato proprio nella Serbia il partner economico dell’area. A sua volta, la nuova Serbia, quella succeduta a Slobodan Milošević, sta guardando più od Ovest (Europa e Stati Uniti) che a Sud (Kosovo) o Est (Russia), decisa superare la crisi economica determinata da una campagna militare durata quasi 10 anni. La tentazione di Belgrado di liberarsi del fardello Kosovo è forte, ma ad impedirlo c’è l’opinione pubblica molto nazionalista e la posizione della chiesa ortodossa (i kosovari sono mussulmani…) alle quali si rivolgono i “fratelli” delle enclave serbo-kosovare che temono di essere abbandonati al proprio destino. E proprio pochi giorni fa, i rappresentanti della minoranza serba in Kosovo hanno consegnato al primo ministro di Belgrado, Vojislav Kustunica, una petizione firmata da 75 mila persone, in cui si ribadisce l’intenzione di non riconoscere un’eventuale dichiarazione di indipendenza unilaterale da parte di Pristina.

La situazione rischia quindi di degenerare a breve in nuovi scontri e violenze. I ministri degli esteri di Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania – i paesi con la maggior presenza militare in Kosovo – hanno scritto ai loro colleghi europei per dire che, esaurito lo spazio negoziale, per l’Ue è arrivato il momento di assumere un orientamento chiaro sui suoi impegni.

Un orientamento che dovrebbe sfociare quanto prima – come ha sottolineato il ministro degli esteri Massimo D’Alema – al via libera ad una missione civile dell’Unione Europea destinata ad assumere il controllo dell’amministrazione del Kosovo. In tal modo, congiuntamente alla presenza sul territorio di circa 17.000 uomini della forza Kfor della Nato, si potrebbe assicurare quel presidio del territorio necessario a impedire il  riesplodere della violenza. E a congelare nuovamente politicamente e militarmente il paese. Il tutto a beneficio di estremisti, puttanieri, trafficanti di droga e armi, politici corrotti e faccendieri. ∞

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Il Dalai Lama a Milano e la vergogna del business

Dalai Lama Letizia Brichetto, in arte Moratti, con Filippo Penatti Il Dalai Lama arriva oggi a Milano. Si fa per dire, considerato che la cittadinanza onoraria gliela danno a Sua Santità al Palazzetto dello sport di Cologno Monzese, il sindaco Letizia Brichetto, in arte Moratti,  lo riceverà in privato ma la data resta incerta, così come incerti sono gli appuntamenti con il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati (Centrosinistra), e di quello, più istituzionale, con il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni (Centrodestra). La politica italiana non è mai stata ne coraggiosa ne illuminata: il peso della Cina, che minaccia ritorsioni, ha finito per spaventare i nostri politici “cuordileone” che pur di non compremettere un’Expo futura e una commessa attuale, fanno entrare dalla porta di servizio il simbolo dei diritti umani e del Tibet. Complimente a tutti. Che il business sia con voi, andate in pace. ∞

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Otto anni di carcere al pastore tibetano

Tibet, paese invaso e represso dalla Cina Il pastore tibetano Runngye Adak è stato condannato a otto anni di carcere. La sentenza tenuta nascosta per alcuni giorni alla fine è stata resa pubblica. L’accusa per l’uomo, padre di 11 figli, è quella di avere urlato il primo agosto scorso a una festa popolare nella provincia del Sichuan, Cina del Sud, una frase criminale: “Lunga vita al Dalai Lama”. Tre suoi amici, che poche ore dopo l’arresto, si erano permessi di protestare e di chiederne la liberazione sono stati a loro volta imprigionati: la corte li ha ritenuti colpevoli di avere attentato “alla sicurezza nazionale” (agenzia Nuova Cina).

“C’è poco da aggiungere o commentare. Basta che si sappia”, come scrive oggi Fabio Cavalera, corrispondente da Pechino del Corriere della Sera, sul suo blog “La nostra Cina”. Dove sono i guardiani planetari della democrazia? ∞

ps. negli scorsi giorni ho scritto un post a proposito del Dalai Lama e della ritrosia a ricerverlo da parte di politici e governi per non incorrere nella reazione di Pechino.

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